sabato 10 dicembre 2016

Film visti da Sara: "Omor Shakhsiya / Personal affairs" di Maha Haj

"Omor Shakhsiya / Personal affairs" di Maha Haj (2016)

Sinossi: Nazareth. Una coppia matura manda avanti una quotidianità ormai stanca; neanche l’idea dell’imminente visita al figlio Hicham, emigrato da tempo in Svezia, li distrae. Dall’altra parte del confine, a Ramallah, la figlia Samar aspetta un bambino e si prende cura della nonna, mentre il fratello Tarek non ha alcuna intenzione di fidanzarsi con Maysa, un’amica di Samar. Il cui marito, invece, meccanico di professione, si vede proporre un ruolo in un film americano.

«Lo spazio riflette i personaggi, che hanno personalità molto diverse anche se appartengono alla stessa famiglia. Ho cercato di trasmetterlo con le immagini. Hicham, che vive in Svezia, è in armonia con il mondo. Il candore tranquillo della campagna contrasta in modo brusco con la confusione di Nazareth e Ramallah. Non a caso Tarek, il fratello, è vivace e a suo modo nevrotico, proprio come il posto in cui vive. A Nazareth, i loro genitori sono provati dalla routine e anche in questo caso la dimensione domestica funge da specchio. Ciò che mi premeva era evidenziare queste divergenz

Note: TFF34

Film visti: "Il tempo che ci rimane" di Elia Suleiman

"Il tempo che ci rimane" di Elia Suleiman (2009)

Sinossi: La storia recente dei palestinesi narrata, dalla fondazione di Israele a oggi, attraverso episodi quotidiani con spunti tratti dai ricordi del padre e della madre del regista. Il cineasta, a sette anni da Intervento divino, realizza un’opera di sorprendente classicità, tra piani fissi che sembrano estender(si) all’infinito nella profondità di campo e movimenti ritmici come la fuga, la marcia dei soldati, le traiettorie degli interni domestici, ma anche astratta, in cui il ricordo può con­fondersi con il sogno e il desiderio come quel memorabile momento del salto con l’asta che supera il muro costruito da Israele. Il silenzio diventa un urlo e una risata fragorosa e dolente. E dentro c’è l’inten­sità di tutta una vita.

lunedì 3 ottobre 2016

Film visti: "Oriented" di Jake Witzenfeld

"Oriented" di Jake Witzenfeld (2015)

Sinossi: Tre giovani amici palestinesi che vivono a Tel Aviv, tre modi personali, a volte convergenti, a volte discordanti, di vedere e vivere la propria omosessualità e la condizione di stranieri in "terra nemica", con tutte le scelte, le difficoltà e le gioie ad esse legate. Khader proviene da un'importante famiglia appartenente alla mafia araba e convive con David, ebreo, di professione promoter di eventi notturni LGBTQ. Fadi è un fervente nazionalista che ha sposato la causa dell'indipendenza della Palestina eppure si trova ad amare un sionista. Naim si deve confrontare con i propri famigliari, profondamente religiosi. Un doppio conflitto d'identità che per i tre protagonisti, sullo sfondo della guerra del giugno 2014, è il punto di partenza per una serie di riflessioni che finiscono per implicare l'intera questione del conflitto israelo-palestinese.

RECENSIONE (Sara Galignano per Cinemaitaliano.info, 11/5/2016):

(...) Nel panorama variegato, ma sempre ricostruito, che abbiamo osservato, arriva in ultimo (ed era ora!) il documentario israeliano Oriented di Jake Witzenfeld a immergere a piene mani il cinema nella realtà, e precisamente nelle vite di Ishader, Fadi e Naeem, tre amici gay palestinesi d’Israele. Senza filtro, ci affacciamo sulle loro vite private, assistiamo ai loro tormenti, tra le libertà che si concedono e le limitazioni a cui sono soggetti. Il confronto con le rispettive - e diversissime - famiglie (più o meno a conoscenza del loro essere omosessuali), i momenti pubblici che ne fanno soggetti attivi, in alcuni casi della lotta del popolo palestinese, in altri di quella LGBT, fino all’esperienza della vita: il caleidoscopico e liberatorio Pride di Berlino. Nonostante il grande e a tratti troppo evidente lavoro di sceneggiatura, che direziona la storia su binari prescelti e direttrici sovente scontate, i protagonisti conquistano e, nella loro diversità, la genuinità delle loro parole e azioni ci mostra un mondo di possibilità. Ci piacerà assistere - per ora i tempi non sono maturi - ad uno sguardo profondo sul reale di un mondo musulmano omosessuale che si osserva e riesce ad essere osservato. Intanto al TGLFF 2016 se n'è parlato.

Film visti: “Rock the Casbah” di Yariv Horowitz

Rock the Casbah” di Yariv Horowitz (2012)

Sinossi: È il 1989, durante la prima Intifada, e un gruppo di ragazzi israeliani viene portato a Gaza per presidiare un villaggio palestinese. I soldati sono chiaramente impreparati a gestire la situazione, che prevedibilmente sfugge di mano subito: in un inseguimento solitario, uno di loro resta ucciso da una lavatrice lanciata dal tetto di una casa. L’assurda disgrazia genera nuove assurdità: i soldati occupano la casa, di proprietà di una famiglia araba, e iniziano a stazionare sul tetto nel tentativo di controllare i movimenti nelle strade e trovare il colpevole dell’omicidio...


Film visti: "The green prince - Il figlio di Hamas" di Nadav Schirman

"The green prince - Il figlio di Hamas" di Nadav Schirman (2015)

Sinossi: Cresciuto in Palestina, da adolescente Mosab Hassan Yousef sviluppa un'avversione nei confronti di Israele che, da ultimo, lo porta in prigione. Qui, colpito dalla brutalità di Hamas e spinto dalla repulsione per i metodi del gruppo – in particolare gli attentati suicidi – Mosab matura una "conversione" inaspettata, iniziando a vedere in Hamas un problema, non una soluzione. Reclutato dallo Shin Bet (il servizio di sicurezza interna d'Israele) col nome in codice di "Green Prince", per oltre un decennio spia dall'interno l'élite di Hamas, rischiando la vita e facendo i conti con la sensazione di tradire il suo popolo e la sua stessa famiglia. Nel tempo, il rapporto tra Mosab e il suo referente allo Shin Bet, Gonen Ben Yitzhak, si fa sempre più leale. Una lealtà che nessuno avrebbe potuto immaginare.

RECENSIONE (Sara Galignano per Cinemaitaliano.info, 12/3/2015):

The green prince - Il figlio di Hamas è più cose e molte cose non è.
È una lunga intervista a due voci che raccontano l’unicità della loro relazione e la fiducia sulla quale è arrivata a basarsi (un reclutatore dello Shin Bet - (servizi segreti interni israeliani - e il suo “reclutato”, figlio di un leader di Hamas che decide di collaborare con il “nemico”).
Non è la rappresentazione di ciò che accade in Israele e in Palestina da quasi cinquant’anni.
È l’occasione per vedere alcune (selezionate) immagini di repertorio - in alcuni casi quasi introvabili - delle manifestazioni della Cisgiordania durante la seconda Intifada e successive.
Non è il luogo dove trovare le origini di tutto ciò che accade in queste immagini e in quegli avvenimenti.
È la voce di un palestinese che si ribella alla violenza perpetrata da alcuni suoi connazionali.
Non è il resoconto che mostra tutti i luoghi in cui – di qua e di la del muro – si annida e si sfoga la violenza.
Sul fronte dello sguardo “che documenta” la rappresentazione è dunque originale e universale (ci sono persone che a volte riescono ad andare oltre i meccanismi nei quali sono inseriti) ma al tempo stesso parziale: nell'ampliare il racconto al contesto per ambientare la duplice intervista, si poteva allargare lo sguardo oltre le immagini scelte, che riportano lo stereotipo (fin troppo sclerotizzato) dei palestinesi gretti e terroristi (virtuosa eccezione, il protagonista sceglie di collaborare con Israele e di vivere negli Stati Uniti dove scrive un libro sulla sua esperienza) contro gli illuminati israeliani che agiscono solo quando obbligati alla difesa. Ma questa sarebbe stata un’altra storia, e bisogna volerla prima vedere e poi scrivere.

Film visti: "Il figlio di Hamas" di Lorraine Lévy

"Il figlio dell'altra" di Lorraine Lévy (2012)

Sinossi: Joseph Silberg è un ragazzo israeliano che vive spensierato i suoi pochi anni e il suo sogno di scrivere canzoni, da cui lo separa il servizio di leva obbligatoria nell’esercito. Figlio di un’ufficiale e di una dottoressa che lo amano incondizionatamente, scopre durante la visita militare che il suo gruppo sanguigno non è compatibile con quello dei genitori. Scambiato diciotto anni prima con Yacine Al Bezaaz, palestinese dei territori occupati della Cisgiordania, Joseph è sconvolto e confuso. La rivelazione getta nel caos le rispettive famiglie che provano a incontrarsi e accorciare le distanze culturali. Ma le ‘questioni politiche’ hanno la meglio sul buon senso e sui padri, che finiscono per rinfacciarsi in salotto il dolore dei rispettivi popoli. Rifugiatisi in giardino, Joseph e Yacine provano a interrogarsi sulla loro identità e sul loro destino. I loro incontri si faranno sempre più frequenti, fino a quando non decideranno di entrare l’uno nella famiglia dell’altro, frequentando la vita che avrebbero dovuto vivere e rientrando in quella che gli è capitato di vivere.

Film visti: "Private" di Saverio Costanzo

"Private" di Saverio Costanzo (2004)

Sinossi: La casa della famiglia B. si trova a metà strada tra gli insediamenti israeliani e un villaggio arabo. I B., palestinesi, sono piuttosto agiati e colti. Mohammad, il padre, è preside di una scuola secondaria e grande appassionato di letteratura inglese. Dopo uno scontro a fuoco, l'esercito israeliano occupa, per ragioni di sicurezza, il secondo piano dell'abitazione e chiede alla famiglia di lasciare la casa. Mohammad si rifiuta, non vuole andar via.

RECENSIONE (Sara Galignano per Cinemaitaliano.info, 27/3/2015):

Intenso e claustrofobico, Private di Saverio Costanzo è nel contempo una lezione di realismo e di analisi comportamentale.
Nel microcosmo di una famiglia palestinese si riproducono dinamiche che in larga scala fanno di un popolo un’entità spersa e dispersa, sempre in cerca di qualcosa che rappresenti un’identità a cui aggrapparsi, salvo scontrarsi di continuo con situazioni che sottraggono gli strumenti per mantenere in vita questa così umana consapevolezza di sé (la casa, l'acqua, l’arbitrio del movimento, …).
Il film inizia proiettando lo spettatore all’alba di un dramma, di cui si intuisce la portata ma che ad ogni cambio di scena si spera non deflagri: in un dialogo ravvicinato marito e moglie divergono su come comportarsi dopo essere stati “esortati” da militari israeliani ad abbandonare la loro casa; il marito (colto professore con un forte senso della propria dignità che desidera preservare a tutti i costi) vuole restare e resistere, la moglie preferirebbe scappare; i figli, divisi tra la paura e l’orgoglio, sostengono il padre ma vorrebbero alzare la posta, lottando per i propri diritti (o quello che essi ritengono il loro diritto naturale di mantenere la propria casa).
Poco dopo, ecco l’irruzione notturna dei militari che ritornano, acquartierandosi al primo piano dell’edificio, e impongono alla famiglia il confino al piano terra e una forzata quanto opprimente coabitazione con il “nemico”.
La casa è isolata, la famiglia è isolata, le inquadrature – le diurne ma soprattutto le notturne – accentuano il senso di solitudine, angoscia, sottomissione e abbandono.
Da queste premesse lo svolgimento si può prevedere (e quello che non si prevede merita di essere scoperto), ma la cinepresa e l’uso del buio di Costanzo ricostruiscono molto più di semplici accadimenti, immergendoci nei diversi stati d’animo sottesi al comune senso di spaesamento.
Punto di assoluta forza è l’inquadratura che ci regala la prospettiva della figlia maggiore, nascosta dentro un armadio del piano a lei “inaccessibile”, mentre spia incuriosita le vite dei militari israeliani attraverso lo spiraglio della porta, fessura in continuo movimento (destra, sinistra, assottigliandosi, allargandosi) come i battiti di un cuore in agitazione, che è anche il nostro.